La
Chiesa Cattolica ha un nuovo papa, Francesco,
l’umile cardinale argentino Jorge Maria Bergoglio,
gesuita, conosciuto
ai più semplicemente come “padre Bergoglio”.
Si racconta che durante il Conclave di otto anni fa
padre Bergoglio avesse ottenuto una quarantina di preferenze, uno zoccolo duro
che impediva l’elezione cardinale Ratzinger, il quale non sarebbe riuscito ad
arrivare alla maggioranza dei due terzi se non ci fosse stato un saggio
intervento del cardinale Carlo Maria Martini,
anche lui gesuita, recentemente scomparso e ancora nel cuore di tantissimi
fedeli. Forse questa volta padre Bergoglio non era considerato il candidato più
papabile, ma neppure si escludeva l’imprescindibilità del suo ruolo all’interno
di questo conclave.

Qualcuno ha voluto risollevare
alcune controversie sui suoi rapporti con il regime di Videla, con cui in
realtà si trovò a trattare
per salvare preti e laici durante la dittatura - come gli riconosce con
gratitudine anche l’attivista Alicia
Oliveira, ex Defensora
del Pueblo della città di Buenos Aires - ma,
nonostante tutto, ogni uomo di buona volontà ha potuto cogliere nel nuovo
vescovo di Roma la genuinità delle parole e la semplicità dei gesti con cui si
è posto.
La risposta alle nostre preghiere è sempre diversa da quella
che ci aspetteremmo, eppure su questo versante le attese non sono state deluse:
abbiamo davvero un pastore, un missionario, un papa “nero”, perché gesuita,
anche se questo appellativo spetta ufficialmente al preposito
generale della Compagnia Adolfo Nicolás. Un
papa Francesco, come ha annunciato, emozionato, il cardinale protodiacono Tauran. I nomi
che assumono i romani pontefici vogliono essere sempre significativi, evocativi,
programmatici. Nelle comunità ecclesiali di base il nome
Francesco circolava unicamente come un auspicio; pochi pensavano sul serio che
un pontefice avrebbe avuto il “coraggio apostolico” di assumere, per primo, un
peso così importante; don Paolo Farinella, prete “del dissenso”, parla di “una
condanna” alla coerenza.
Proviamo ora a farci un’idea della figura di padre Bergoglio
partendo da un’intervista
che ha rilasciato qualche anno fa al periodico cattolico 30 Giorni, un numero
che avevo conservato nella sua versione cartacea e che ieri ho potuto
finalmente riprendere in mano, già spolverato. Pur essendo un dotto teologo,
come possiamo apprendere dalle citazioni del De Lubac, dei padri della Chiesa e
dei testi sacri, il cardinale Bergoglio lo fa sempre con discrezione. Sostiene innanzitutto
che un documento teologico, seppur importante come quello conclusivo
della Conferenza di Aparecida, “non si esaurisce in sé stesso, non chiude,
non è l’ultimo passo, perché l’apertura finale è sulla missione”, che evita il
pericolo dell’autoreferenzialità, perché “per rimanere fedeli bisogna uscire.
Rimanendo fedeli si esce. Proprio se si rimane nel Signore si esce da sé
stessi. Non si rimane fedeli come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla
lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita”. Papa
Francesco si colloca così nella tradizione della ecclesia
semper re-formanda, non tanto nei contenuti, quanto nelle forme, nei
modi e nell’atteggiamento, senza necessariamente dover cambiare la dogmatica o
le posizioni in materia etica, che devono tenere sempre presente la sacra
dignità della persona umana. Su questo punto il pontefice neoeletto saprà
essere fermo e deciso, come in questi anni non ha esitato a indicare le
cause della povertà nelle “politiche ispirate al neoliberismo che
considerano i profitti e le leggi del mercato come parametri assoluti”. La Curia romana e lo IOR
saranno ragionevolmente riformati e, oltre a queste barriere, nella Chiesa ce
ne saranno molte altre da abbattere per poter gettare ponti ed essere “testimoni
credenti e credibili”; sappiamo bene che “le nostre certezze possono
diventare un muro, un carcere” e pertanto missione deve far rima con evangelizzazione,
in un mondo da “interessare con le parole che noi diciamo”. Per fare ciò, padre
Bergoglio ritiene che il primo passo da fare sia quello di “guardare la nostra
gente non per come dovrebbe essere ma per com’è e vedere cosa è necessario.
Senza previsioni e ricette ma con apertura generosa”, ricordandoci che “di per
sé tutto ciò che può condurre ai cammini di Dio è buono”. Quindi ci invita ad
“uscire da sé stessi”, da una coscienza isolata che “indurisce il cuore” (che
sarebbe il male più grave nella Chiesa), e persino “uscire dall’orto dei propri
convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un
ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio”. Riguardo le urgenze della
Chiesa, osserva: “In questo momento si ha più bisogno di misericordia,
misericordia e coraggio apostolico”, che significa “seminare la parola e lasciare che sia lo Spirito Santo a fare il
resto”. Insomma, “nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo, lui stesso è
armonia, autore al medesimo tempo della pluralità e dell’unità. Perché quando
siamo noi a voler fare la diversità facciamo gli scismi e quando siamo noi a
voler fare l’unità facciamo l’uniformità, l’omologazione”. Parole che, nell’ambiente
ecclesiastico, suonano molto meno scontate di quanto potrebbero sembrare,
specialmente se accompagnate da una modo di agire coerente con quanto si
afferma.
Papa Francesco infatti è un uomo di chiesa che qualcuno ha osato
addirittura definire “grillino” per la sua particolare attenzione nei
confronti del popolo (parola pronunciata ieri più volte) e di “tutto ciò che
[viene] dal basso”, ricercando “non tanto una sintesi, quanto piuttosto
un’armonia”, per il suo prediligere i mezzi pubblici e il contatto con la gente
agli onori e ai privilegi che spetterebbero ad un cardinale. Anziché risiedere
nell’appartamento arcivescovile, padre Bergoglio viveva in una modesta
abitazione di Buenos Aires; anziché avere scorta e limousine, egli era solito
girare per le vie della sua città con i mezzi pubblici oppure a piedi. Ora che
è Papa non potrà più rinunciarvi, ma da
subito ha voluto alleggerire la sua scorta, pagare di tasca propria
l’albergo e ha preteso un’auto meno lussuosa.
Esempio e evangelizzazione, gesti e parole che parlano al
cuore del popolo.
(PZ 14 marzo 2013)
(PZ 14 marzo 2013)
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